Come nasce il buon vino ....... dal vigneto alla bottiglia
LA TERRA: La creazione di un nuovo vigneto parte dal terreno. La collina della Pieve appartiene a quel gruppo di rilievi dell’alto Monferrato che partono dalle falde dell’Appennino fino alla pianura. Si tratta di conformazioni geologiche di marna grigia (dovuta a sedimenti argillosi-calcarei del fondo dell’oceano primordiale) scavate dai corsi d’acqua. La marna a contatto con l’aria, con le piogge e a cicli di gelo-disgelo si trasforma nella terra chiara ottimale per la coltivazione dei vitigni tipici delle nostre zone: il dolcetto, la barbera e il cortese.La prima operazione quindi è la preparazione del terreno con il disboscamento e il dissodamento profondo (circa 1m). Nel caso in cui il terreno superficiale non sia sufficientemente profondo si procede alla frantumazione della marna sottostante che si trasformerà in terreno fertile e friabile in un paio di anni. Le operazioni di dissodamento vengono realizzate da grandi scavatori meccanici cingolati, un tempo venivano fatte manualmente con picconi, zappe e pale.
LA BARBATELLA: dicesi barbatella una piantina di vite di un anno pronta per essere impiantata nel vigneto. Si tratta di un portainnesto (parte da cui nasceranno le radici) di viti di origine americana per rendere la vite resistente ai parassiti e di un innesto (parte da cui nasceranno i tralci e i grappoli) del vitigno che si vuole impiantare. Le barbatelle vengono innestate con macchine automatiche, fatte germogliare e conservate in substrati e con temperature controllate da aziende specializzate. Un tempo gli innesti venivano fatti a mano e la produzione delle nuove barbatelle era fatta dagli stessi viticultori.
IL VIGNETO: dissodato e livellato il terreno si procede a piantare le barbatelle alla distanza di circa un metro, con una distanza tra le file di circa 3 metri. Dopo un anno si metteranno i pali di sostegno e i fili a cui si legheranno i tralci. Un tempo i pali erano in legno, attualmente si utilizza di cemento o di acciaio.
LA VITE E L’UVA: la cura della vite è costante durante tutto l’anno: in autunno terminata la raccolta si inizia la concimazione con concime organico (letame di stalla), in inverno si procede con la potatura lasciando i tralci più vigorosi che daranno i grappoli migliori. In primavera si inizia con la legatura dei tralci sui supporti, e, nella coltivazione tradizionale, si continua con la lavorazione del terreno per arieggiare le radici ed eliminare le erbe infestanti; ad aprile-maggio la vite inizia a germogliare, occorre quindi procedere con una seconda selezione dei tralci e dei grappoli migliori. I mesi di giugno e luglio per il viticultore sono caratterizzati da un’attività frenetica: i tralci della vite crescono con una rapidità sorprendente ed occorre procedere più volte a fissarli ai sostegni ed effettuare i trattamenti controllati contro le malattie della vite. Ad Agosto inizia la maturazione e si procede con un ulteriore dissodamento del terreno e con una ulteriore scelta dei grappoli e una parziale defogliazione per esporli al sole, finalmente a fine settembre si giunge all’obiettivo di tanto lavoro: la VENDEMMIA. Sulle nostre colline, oggi la raccolta dell’uva avviene, come in passato, selezionando manualmente i grappoli, sono cambiati solo gli strumenti ed i contenitori: in passato recipienti di legno, oggi di plastica e acciaio; in passato il trasporto veniva fatto con i carri e i buoi, oggi con i trattori. La vendemmia è una vera festa, un lavoro faticoso che dura una decina di giorni, ma anche un rito di ringraziamento che conclude un anno di lavoro, fatiche, attese e pericoli con la consapevolezza che tutto quanto si è fatto non sarebbe stato sufficiente senza un insieme di fattori climatici favorevoli su cui il viticultore non può contare
IN CANTINA: l’uva raccolta durante il giorno viene lavorata durante la notte: i grappoli vengono schiacciati per estrarne il succo (mosto) che viene messo a fermentare dentro i recipienti di grandi dimensioni, un tempo questi recipienti erano in legno (botti) ora sono in acciaio. In passato la pigiatura dei grappoli veniva fatta con i piedi in grandi tini di legno, attualmente con moderne macchine automatiche, rimane però ancora il ricordo di quando la sera, finita la raccolta tutti, anche i bambini, entravano nel tino e pigiavano, con i piedi e le gambe rosse di mosto e poi al temine, ormai a notte fonda, insieme si cenava in allegria.Il mosto viene lasciato fermentare per alcuni giorni controllando la temperatura, la miscelazione e l’ossigenazione; è soprattutto l’esperienza che permette di ottenere un buon vino da una buona uva: basta un’operazione fatta male o nel momento sbagliato e il vino sarebbe irrimediabilmente guastato. Il vino, ancora feccioso per i residui delle bucce dell’uva, a fine ottobre si può dire potenzialmente definito come sapori e profumi, ma occorreranno alcuni mesi di decantazione e di travasi periodici per ripulirlo dei sedimenti ed affinarlo: il vino realizzato con il metodo tradizionale è pronto per essere gustato e messo nelle bottiglie solo al mese di marzo. Per vini come l’Ovada che richiedono un affinamento di almeno un anno si continua la cura con travasi e controlli periodici. Le bottiglie di vino sono adesso preparate con un ciclo meccanizzato che prevede il riempimento, la chiusura con il tappo e l’etichettatura con macchine automatiche, un tempo tutto il ciclo veniva realizzato a mano.Dopo circa 18 mesi dall’inizio del ciclo (che si identifica con la fine della vendemmia precedente) il vino DOC è finalmente pronto per essere degustato, per il vino DOCG OVADA occorre ancora attendere … ma è universalmente noto che il buon vino invecchiando migliora, quello scadente si guasta!